Scienza o incoscienza?

La disinformazione è diventata un vero e proprio affare, non solo per chi produce, come le aziende alimentari e farmaceutiche, ma per tutti coloro che vendono la promessa di guarigione raggirando ignari cittadini, convincendoli che la soluzione ai loro mali passi attraverso l’acquisto di una dieta, un prodotto, o l’eliminazione di un cibo. La maggior parte dei professionisti che si occupa di alimentazione, tralasciando l’enorme abusivismo che sussiste in questo campo, sembra dimenticare l’esistenza del metodo scientifico e la cospicua letteratura a disposizione di chiunque voglia capire come stanno davvero le cose, anche a chi non è un esperto del campo.

L’incredibile quantità di bufale inoltrate su cibo e salute porta molte persone a sentirsi frustrate e confuse. Grazie ad una buona proprietà di linguaggio è possibile raggirare gran parte degli utenti per mancanza di cultura e spirito critico. Per non parlare delle numerose pratiche poco ortodosse che spopolano in farmacie, palestre e centri estetici, dove ancora pensano di far dimagrire le persone con prodotti “depurativi” e persino con digiuni e tisane.

Spesso sono le prescrizioni e le teorie più fantasiose che hanno la meglio su quelle veritiere. La verità fa paura, è scomoda ed è difficile da comunicare. Ancora sussiste l’idea che vi sia un’alimentazione naturale e una industriale, senza nemmeno conoscerne i termini e i significati. Senza capire che da quando è nata l’agricoltura o la pastorizia 10 mila anni fa, l’uomo è divenuto stanziale e la natura offre ben poco senza il suo intervento. Questo non solo in maniera diretta sulla produzione del cibo, ma anche indiretta, alterando gli ecosistemi per la creazione di strade, palazzi, città, inquinamento e sprechi.

Attualmente si contano migliaia di libri che parlano di diete o rimedi per migliorare lo stato di salute. Naturalmente non tutti sono uguali. La maggior parte di essi sono frutto di opinioni personali, scritti da figure che non hanno mai toccato (per fortuna) alcun paziente e per questo sono in evidente contrasto tra loro. Alcuni sono frutto di invenzioni e assenza di riscontri, altri addirittura vanno contro evidenze scientifiche ormai accertate. Ogni giorno viene fuori una nuova dieta che promette la cura definitiva al sovrappeso o una strategia per assicurarsi l’elisir di lunga vita. Molte volte è difficile immaginare che quel professionista abbia studiato medicina o una disciplina sanitaria, fisiologia, biochimica e anatomia. Piuttosto verrebbe da pensare che sia un grande esperto di marketing. Nonostante questo, il ruolo degli organismi istituzionali che dovrebbero vigilare su questo squallore, viene sempre meno. Naturalmente le colpe sono di tutti, sebbene mi preme ricordare ai numerosi colleghi medici un solenne “giuramento” che ha segnato l’inizio della nostra carriera, e che spesso il Dio denaro e la sete di successo, fanno presto dimenticare. Attraverso alcuni semplici passaggi si legge infatti: “giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale…di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina”.

Secondo il codice di Deontologia medica: “Le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad acquisizioni scientifiche aggiornate e sperimentate, tenuto conto dell’uso appropriato delle risorse e perseguendo il beneficio del paziente secondo criteri di equità. Le sue decisioni devono riferirsi ai dati scientifici accreditati o alle evidenze metodologicamente fondate. Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete. In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili”. Nonostante questo sono sempre più numerosi i terapeuti che passano dalla promozione di una filosofia nutrizionale all’altra, spesso in antitesi tra loro, rinnegando quello che fino a qualche tempo prima avevano inculcato ai loro pazienti. Il tutto solo per seguire le mode, i flussi e il denaro.

La scienza infatti ha dimostrato chiaramente l’esistenza di uno stretto legame tra una corretta alimentazione e il miglioramento della qualità della vita, nonché un suo allungamento.

Il cibo potrebbe essere da un lato la più sicura e potente forma di terapia, mentre troppo spesso rappresenta la causa principale delle nostre malattie. Non possiamo trattare la salute a compartimenti stagni, parlando solamente di alimentazione o demonizzando singoli alimenti o alcune classi di nutrienti. Essa funziona come un’orchestra complessa, in cui proprio la varietà degli strumenti e il loro equilibrio, danno origine ad una melodia, che oggi è oggetto di un’attenzione mediatica quasi morbosa, a cui si affianca una scarsa informazione su ciò che mettiamo in tavola.

Feuerbach diceva “l’uomo è ciò che mangia”. Ma oggi siamo davvero quello che mangiamo?

Tenendo conto che l’università di medicina non insegna nulla in tema di medicina, per cui molti medici non sanno nulla di alimentazione, se non per cultura personale o per aver fatto una specializzazione in scienza dell’alimentazione, il compito più difficile che i professionisti della salute (quelli veri) hanno oggi è quello di scardinare le credenze e i miti creati dalla disinformazione che negli ultimi 50-60 anni hanno inculcato nella società. Tra questi il mito del colesterolo, la demonizzazione dei grassi, la paura delle proteine, l’esaltazione di zuccheri e cereali, le calorie, la bilancia, mangiare un po di tutto e soprattutto il fatto che l’alimentazione possa essere gestita in maniera semplice. Purtroppo però, la scienza avrà sempre meno appeal e risonanza mediatica delle pseudoscienze e saperla comunicare nella giusta maniera è compito assai arduo.

Oggi l’informazione si fa a livello mediatico, in televisione, dove si mescolano personaggi dello spettacolo con professionisti della salute, che stanno al gioco o addirittura sono disposti a pagare per ottenere la grande risonanza che lo show offre, ma che vengono battuti nettamente nelle discussioni, scendendo a livello di coloro che non possono comprendere il linguaggio scientifico.

Agire secondo scienza e coscienza è quello che ogni professionista della salute dovrebbe fare. Fornire della indicazioni ad un paziente, curarlo, significa inculcargli delle nozioni certe, frutto del lavoro di numerosi ricercatori che ogni giorno da sempre studiano la salute. Lavorare sullo stile di vita delle persone è un impegno, una responsabilità, un dovere del professionista. Non è l’atto di vendita di una illusione come spesso succede.

Naturalmente affidarsi alla scienza non significa cadere nello scientismo. Il medico non deve basarsi solamente sulle linee guida, sui protocolli e su quanto altri hanno studiato al posto suo. Anzi, conta molto la clinica, il ragionamento, l’esperienza e il dialogo con il paziente. I medici oggi non ascoltano più i pazienti e non sono empatici come dovrebbero essere.

Nel campo dell’alimentazione non esistono certezze assolute. E chi dice il contrario, mente. Fare e capire la scienza è difficilissimo anche per chi la studia e la pratica. Non possiamo pensare che la letteratura sia un dogma da rispettare. Va tenuto conto infatti che molte filosofie alimentari si formano prendendo in considerazione solo una parte degli studi esistenti, tralasciandone quelli “scomodi”. E non bisogna trascurare il fatto che una buona parte di essi potrebbe semplicemente essere incorretta, magari compromessa da campioni di piccole dimensioni, analisi poco valide, procedure di scarso valore scientifico e conflitti di interesse (molti studi sul cibo sono finanziati da aziende produttrici).

Anche per questo c’è grande responsabilità da parte dei media, che hanno il dovere di sottoporre ad esame critico gli studi, prima di divulgarli. Non tutti gli studi scientifici sono uguali. Ve ne sono alcuni che hanno un peso maggiore, altri, soprattutto quelli osservazionali, vanno presi con le molle. Si rischia di dimostrare con delle analisi e delle correlazioni statistiche tutto e il contrario di tutto a distanza di poco tempo. La ricerca osservazionale (come accade per quasi tutti gli studi epidemiologici) può solo suggerire relazioni tra i fattori, ma non dimostra necessariamente un rapporto di causa-effetto. Tutto è dimostrabile con l’osservazione, ma nulla è certo.

Anche la ricerca scientifica andrebbe eseguita con etica e coscienza, come raramente succede. Non tutti i ricercatori sono uguali, anche per credenze o convinzioni personali. Alcuni sono onesti e altri meno. Lo dimostrano i numerosi scandali accaduti sotto gli occhi di tutti.

Oggi, la maggior parte delle persone, non nutre più fiducia nel terapeuta, ma si informa in “rete”. Sebbene possa essere un utile punto di partenza per capire a chi rivolgersi, dovrebbe essere una fonte di informazione aggiuntiva, non l’unica, come spesso avviene per diete, farmaci e integratori.

Navigare su internet è tra le prime cause di disinformazione e non fa altro che alimentare disagi, paure e ossessioni. A tutto questo contribuisce anche il cattivo giornalismo, quello fatto da inesperti nel settore, che cercano di comunicare la scienza e le scoperte come si comunica la promozione di una vacanza in un centro benessere, senza etica e solamente per andare alla ricerca di qualche click. Una voce autorevole in tema di comunicazione, Umberto Eco, disse qualche tempo fa: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”.